Il titolo ricorda l’opera letteraria più famosa di Charles Bukowski, pubblicata nel 1972.  Il testo raccoglie una serie di racconti, precisamente 42, che descrivono vari aspetti dell’autore.

Ti starai domandando “cosa c’entra l’opera di Bukowski con la copertina di Don’t look UP?”

Una domanda pertinente a cui non so rispondere così su due piedi. Aspetta, ti spiego meglio.

Qualche sera fa decisi di guardarlo. Già da qualche giorno Netfilx cercava di propormelo, anche se non ero convito dopo aver letto le negative recensioni da parte della critica. “Ci vuol coraggio a realizzare un film catastrofico intingendolo di una verve surreale e grottesca” lessi in uno dei tanti commenti. Poi un giorno, non trovando niente di interessante che non abbia già visto, come immagino sia successo anche a te, decisi di guardarlo.

Adam McKay, il regista, ha saputo toccare quei punti dolenti che da tempo caratterizza l’insania civiltà umana presente nella nostra società.

Considerarlo un bel film è senz’altro utopia ma non credo sia quello l’obiettivo di McKay. È come fosse un invito a guardarci allo specchio per disprezzare quello che siamo diventati.

“Don’t panic, l’umanità sta solo per neutralizzarsi.”

Una satira apocalittica che ci divide: da una parte coloro che ridono con animo leggero, privi di qualsiasi preoccupazione, e dall’atra chi resta palesemente preoccupato, osservando il vuoto di intelligenza emotiva presente nel genere umano.

Sveglia! Questo è ciò che sta accadendo!

Non sarà sicuramente un meteorite, o almeno spero, ma il disastro imminente, quello che provocherà l’estinzione dell’essere umano e non solo, è palesemente reale e presente.

A dirlo non è Claudio Bisio durante Zelig, con tutto il rispetto e ammirazione che ho verso Claudio, ma ricercatori per conto dell’ONU avvisandoci che “siamo al collasso del fabbisogno alimentare mondiale!” Secondo il rapporto pubblicato a luglio 2021, riferito al 2020, un decimo della popolazione mondiale è sottoalimentato.

Per non parlare dell’inquinamento ambientale, basta guardare le nostre spiagge per notalo, incidendo gravemente sull’impatto ambientale. Un recente studio indica che un terzo della produzione mondiale di cibo è minacciato dalla crisi climatica e che in circa 60 anni per molti paesi, soprattutto quelli vicino l’equatore, produrre cibo potrebbe diventare impossibile (fonte La Repubblica).

Ma pur consapevoli continuiamo a condurre le nostre giornate come se il disastro fosse solo “un brutto film”, riempiendoci di cose superflue e guardando il “Grande Fratello VIP”, considerando tutto questo “normale”.

Così facendo non stiamo altro che peggiorando la nostra posizione. 

Le Nazioni Unite stimano che la popolazione di oggi, ben 7,7 miliardi di teste (probabilmente non tutte pensanti, ma non c’è studio che lo dimostri), passerà a 11 miliardi nel 2100. Vero, sarebbe già una gran cosa arrivarci.

Di proposito non voglio accennare niente riguardo i sistemi di allevamento intensivi. Non riusciamo neanche a dare il giusto tempo alla natura, per compiere il suo corso, che dobbiamo accelerare lo sviluppo con la chimica. In 1/3 del tempo, grazie all’OGM, un vitello diventa già adulto e pronto al macello.

Ma anche questo sta entrando in quello che consideriamo “normalità”.

“Ho litigato con due vigili. Stavano insinuando che Auschwitz fosse solo un Parco a tema.”

Disse David Dobel, interpretato da Woody Allen in “Anything Else nel lontano 2003. Il sarcasmo di Woody è da sempre apprezzato da tutti e compreso da pochi. Un approccio al confronto pungente che digeriamo con piacere pur essendo intolleranti grazie al suo umorismo.

In questo dialogo ci fa notare il grado di ignoranza da parte di chi, in teoria, dovrebbe governarci. Dalla classe politica a scendere.

“Tutto questo cosa c’entra con Bukowski?”

Nel suo libro, condividendo i racconti fonte dei suoi aneddoti di vita, vuole far emerge la faccia di una società senza freni inibitori morali, superficiale e ingorda verso la lussuria e l’eccentricità sessuale. Una società influenzabile che il buon Dante Alighieri spedirebbe nel girone dell’inferno. Talmente influenzabile dai social networks che, soprattutto in tempi pandemici, con un incremento di presenza su tutte le piattaforme, basta guardare il boom di TikTok, ha provocato un aumento del 30% dei casi di bulimia e anoressia nei giovani, ispirati fin dalla giovane età, ancora in fase di sviluppo, con il desiderare un “corpo perfetto” ossessivamente.

“Non sono i 6 milioni di ebrei che mi preoccupano, è che i record sono fatti per essere battuti.”

Una delle tante battute di Harry Block dal film “Harry a pezzi”, interpretato e diretto sempre dal buon Woody Allen nel 1997, che in maniera esplicita è ironica ci fa capire la nostra natura autodistruttiva.

“Tutti hanno paura di morire ma nessuno vuole cambiare oggi per vivere un giorno in più domani.”

Vediamo un film apocalittico come “Don’t look UP” rappresentare la fine del mondo per colpa di un meteorite e pensiamo, dall’alto del nostro intelletto, “vabbè, addirittura!”. Reagiamo come fosse una cosa di fatto impossibile che accada, ancora una volta.

E se ti dicessi che il film non è così tanto distante dalla realtà come reagiresti?

Il pericolo che viene dallo spazio non può essere sottovalutato. Lo sanno bene gli abitanti di Chelyabinsk, feriti quasi 1.500 persone, nel 2013. Questo è uno dei tanti casi ma c’è un elenco lunghissimo: nel 2008, nel deserto del Sudan, uno nel 2014 che precipitò nel Pacifico, e il terzo nell’estate del 2018 sul Botswana.

Per sensibilizzare la popolazione mondiale il 30 giugno viene “celebrato” l’evento “Asteroid Day”. La data scelta è significativa: proprio il 30 giugno di 110 anni fa uno di questi corpi (del diametro stimato tra i 30 e i 60 metri) devastò oltre 2.000 km quadrati di foresta in Siberia, abbattendo milioni di alberi nella regione disabitata di Tunguska. Se fosse esploso nel cielo di New York la ricorderemmo come la più grande catastrofe umana di tutti i tempi.

Insomma, quello che vorrei dirti non è di “approcciare alla vita remissivo” ma con ironia. Attenzione però, non fraintendere.

Intendo quella ironia, alla Woody Allen, conscia e non superficiale, guardando al futuro con un approccio consapevolmente fatalistico considerando ogni giorno in vita una grande opportunità.

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